Di seguito un testo pacato, chiaro: fa riflettere. UDF Ticino
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Al di là di ogni schieramento politico mi preme soprattutto la ricerca della verità sulle cose. Per farmi un’idea sulla proposta di estendere la legge antidiscriminazione alla sfera dell’orientamento sessuale mi sono informata sui Paesi in cui tale legge è già applicata. Condenso le mie perplessità in alcuni ipotetici scenari, che sollevano domande di scottante attualità. 

Rina Ceppi-Bettosini 

Sono un panettiere, pasticciere, macellaio, ristoratore, albergatore o fotografo (vale chiaramente anche al femminile) e naturalmente servo la mia clientela senza chiederne l’orientamento sessuale. Un giorno, probabilmente non lontano, mi viene chiesta una prestazione in netto contrasto con le mie convinzioni religiose, come per esempio un servizio legato al matrimonio fra due persone omosessuali. Se pur educatamente io declinassi l’incarico per coerenza alla mia fede cristiana o islamica, in base a cui il matrimonio riguarda esclusivamente l’unione fra un uomo e una donna, sarei tutelato dal mio diritto alla libertà religiosa oppure incapperei in rovinose sanzioni penali con il relativo linciaggio mediatico? Vedrei compromessa la mia esistenza, come si osserva in Paesi dove la legge in questione è già realtà? 

Sono municipale e ufficiale di stato civile. Un giorno sarò chiamato a celebrare il matrimonio di una coppia di persone omosessuali, ma la mia fede chiederà coerenza. Dunque? Stesso scenario come sopra? 

Sono medico, pediatra, chirurgo, epidemiologo, specialista in neuroscienze e la mia professione mi porta a dati scientifici e medici che confliggono con la visione dei nuovi diritti sessuali. Avrò il coraggio di esporre pubblicamente la mia esperienza professionale a costo di irritare il pensiero dominante, con la temibile prospettiva di ostracismo? La spirale del silenzio, teorizzata dalla nota analista sociale Elisabeth Noelle Neumann, agisce ormai fin troppo bene anche in Svizzera. 

Sono una persona omosessuale dichiarata e convivo con il mio o la mia partner. Contrariamente agli attivisti omosessualisti sono dell’idea che una coppia di omosessuali non dovrebbe avere figli, perché da quando mondo è mondo i figli sono sempre nati da un padre e una madre. Già ora è un grosso rischio affermare in pubblico tale ovvietà (Dolce&Gabbana insegnano), ma in futuro potrò ancora affermarla senza rischiare la prigione per pubblica offesa al presunto diritto al figlio delle coppie omosessuali? E se aggiungessi che anche da omosessuale non approvo affatto il business degli uteri in affitto, perché lo considero un vero e proprio sfruttamento delle donne economicamente svantaggiate e un traffico aberrante di esseri umani, commissionati e comprati come fossero merce, cosa mi dovrei aspettare? Si è affermata l’idea che il così detto mondo LGBT sia una comunity, una comunità compatta, ma non è così. C’è chi ha cercato e ritrovato un proprio equilibrio e una propria identità fuori dai binari dettati dall’attivismo LGBT e si sente discriminato perché non trova spazio di discussione nei massmedia. Perché non lo trova? 

Se penso a cosa ne ha viste il noto psicanalista e psicoterapeuta milanese dott. Giancarlo Ricci per aver affermato nel talk show «Dalla vostra parte (21.1.2016)» che «la funzione di padre e di madre è essenziale e costitutiva del percorso di crescita [del figlio]»! Un procedimento disciplinare, insulti sui social e tre anni di logorante pressione psicologica, professionale ed economica. Il dott. Ricci ha analizzato la sua vicenda nel saggio Il tempo della postlibertà. Destino e responsabilità in psicoanalisi, Sugarco 2019. Da leggere! 

Mi chiedo: quale diritto dovremo inventare per proteggere la libertà di ricerca e di discussione scientifica dalle pressioni ideologiche di turno? 

Invece di frammentare all’infinito l’umanità in una lista sempre più lunga di minoranze da proteggere, perché non ci impegniamo seriamente a costruire una società rispettosa di OGNI essere umano? Lo so, ci vuole molta fantasia, ma soprattutto occorrono i criteri giusti. Forse dobbiamo trovare proprio quelli. 

La discussione è vitale per la democrazia, ma evitiamo di cadere nell’errore di bollare di retrogrado medievale chi è contrario al testo in votazione. Al Medioevo dobbiamo la nascita delle Università, degli ospedali, la riscoperta dei grandi testi classici, un patrimonio inestimabile di beni artistici e architettonici e tanto altro. Il progresso non è monopolio assoluto di chi si autodefinisce 

progressista. Il progresso è compito, responsabilità e merito di tutte le forze politiche e culturali di una società e frutto di un’intelligente, franca, coraggiosa e faticosa ricerca di equilibri. Ecco perché l’educazione alla libertà di opinione ed espressione è fondamentale e dovrebbe sempre essere garantita dalla legge, coltivata in famiglia e nella scuola. 

Soprattutto, facciamo uso del nostro diritto di voto! Se va a votare poco più di un terzo e di questo terzo poco più della metà decide le sorti del nostro Paese, che senso ha? Non assomiglia piuttosto alla dittatura di una minoranza, liberamente scelta da una maggioranza passiva? 

Io comunque voterò NO. 

Rina Ceppi-Bettosini